L'uomo moderno è alla ricerca di un modello di sviluppo che garantisca una sana crescita dell'economia, benessere diffuso, rispetto per l'ambiente, tutela della diversità, relazioni sane e costruttive.
Non c'è bisogno di inventare nulla, questo modello in Natura esiste già ed è il bosco, luogo in cui tutto cresce in armonia con il resto, in cui convivono una miriade di specie completamente diverse l'una dall'altra in un ecosistema in cui tutti contribuiscono al benessere complessivo.
Osservando attentamente il bosco possiamo cominciare a vedere le differenze rispetto al nostro attuale sistema economico. La più importante.
Nel bosco non circola denaro
Il bosco cresce spontaneamente e in salute senza denaro né banche. No, tranquillo lettore, non voglio proporre la banale eliminazione del denaro per tornare al baratto; il denaro in sé, come valore di scambio, non è un male. Ma occorre ridimensionarne l'importanza. Come?
Partiamo dal prezzo degli oggetti, di cui il denaro è l'unità di misura quasi universalmente accettata. Queste mele costano 80 centesimi al Kg., quella casa costa 200.000€, per acquistare quel quadro di Van Gogh mi servirebbero 30 milioni di euro, etc. etc.
Tutto (o quasi) ha un prezzo. Ma intorno al prezzo degli oggetti che comperiamo aleggia un sinistro pregiudizio, del tutto errato. La chiameremo l'“Illusione del Risparmio”.
Tanto più basso il prezzo dei prodotti, tanto maggiore è il mio potere d'acquisto
Dopo decenni di bombardamento mediatico, moltissime persone credono a questa illusione in modo del tutto automatico, senza pensare di metterla in discussione. Scelgono di acquistare un prodotto invece che un altro soltanto perché costa meno, sono costantemente a caccia di occasioni di risparmiare senza domandarsi quale sia il costo sistemico di tale tendenza. Il pregiudizio è talmente radicato che porta le persone a scegliere consapevolmente prodotti più scadenti anche sapendo che dietro a quei prezzi vi sono realtà economiche del tutto anti-etiche, che arrivano fino allo sfruttamento del lavoro minorile.
Chi è interessato alla diffusione di questa illusione, qui prodest, come dicevano i latini?
Risposta semplice e scontata: alle grandi multinazionali. Queste possono produrre ovunque e approfittare delle leggi dei Paesi più tolleranti per abbassare il più possibile il prezzo di vendita dei loro prodotti. Quante volte avrai detto o pensato: le piccole/medie aziende non possono fare concorrenza alle grandi multinazionali e quindi sono costrette una dopo l'altra a chiudere o ad essere assorbite? Fin qui tutto già sentito e risentito.
La novità è che ora possiamo tranquillamente cestinare tale pregiudizio.
Tanto più basso il prezzo dei prodotti, tanto maggiore è il mio potere d'acquisto
E possiamo sostituirlo con il suo esatto opposto.
Tanto più alti i prezzi dei prodotti, tanto maggiore è il potere d'acquisto dei lavoratori
Che cavolo stai dicendo, Willis! Se io guadagno 1000 euro al mese e il pane costa 1€ al Kg con il mio stipendio posso comperare 1000 pagnotte, se costasse 2€ potrei comperarne solo 500! E' ovvio che all'aumentare del prezzo del pane il mio potere d'acquisto cala, e così per tutti i prodotti. In questo modo di pensare comune c'è un grosso tarlo: il credere che il nostro stipendio ed il prezzo dei prodotti che acquistiamo siano indipendenti tra loro. Questo è del tutto falso: prezzo dei prodotti e salari sono strettamente legati fra loro. Per abbassare il prezzo di un prodotto un'azienda ha cinque opzioni:
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La ricerca: con essa si può trovare un sistema più economico di produrre lo stesso bene, ad esempio consumando meno energia, riducendo i tempi di produzione, trovando materie prime più economiche, automatizzando alcune fasi della lavorazione. Le prime due fanno parte di ciò che possiamo chiamare Progresso Positivo, la terza dipende dalle circostanze, la quarta, l'automatizzazione, porta l'azienda a poter ridurre il numero di dipendenti, quindi maggiore disoccupazione, che si traduce in un calo degli stipendi complessivi. Tenendo conto che la ricerca è fondamentale per il progresso umano, non la addito tra le cause del calo generale del potere d'acquisto.
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La qualità: possiamo ridurre il prezzo dei prodotti riducendone la qualità, utilizzando materie prime più scadenti, sofisticando il prodotto, utilizzando conservanti dannosi alla salute per dilatarne la data di scadenza, etc. Argomento assai triste, meglio non approfondirlo oltre, dico solo che questo sistema per abbassare il prezzo è del tutto deleterio e va assolutamente abbandonato.
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Le tasse: pagare meno tasse è un modo per abbassare il prezzo dei prodotti. Per farlo le aziende delocalizzano verso Paesi con minor pressione fiscale, oppure semplicemente evadono le tasse nel Paese dove producono. Il punto è che più si abbassa il prezzo di vendita dei prodotti, maggiore sarà la pressione fiscale. Infatti il gettito complessivo delle imposte di uno Stato dev'essere costante per mantenere la spesa pubblica e poter rifinanziare il debito. Se dalla vendita di un paio di scarpe lo Stato vuole ricavare 20 euro di imposte indirette (IVA), dovrà applicare un'aliquota del 20% se il prezzo di vendita finale è di 100€, ma se il prezzo fosse di 200€, l'aliquota potrebbe scendere al 10%.
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La filiera: con questo termine intendiamo generalmente il numero di passaggi e trasformazioni che il prodotto compie prima di essere acquistato dal cliente finale.
Comprendiamo nella filiera anche il costo di marketing e pubblicità.
Accorciare la filiera, semplificare la catena di distribuzione, ridurre i trasporti sono tutte ottime modalità di abbassare il prezzo di un prodotto. L'ideale si raggiunge nella commercializzazione locale con passaggio diretto dal produttore al cliente finale.
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La manodopera: abbassare gli stipendi, ridurre la sicurezza, costringere ad un'efficienza disumana è un altro modo per abbassare il prezzo di un prodotto, assai diffuso. Perché le aziende delocalizzano? Perché vanno dove la manodopera costa meno è la risposta più frequente. Ridurre i salari per rendere il proprio prodotto più competitivo non è una modalità accettabile, perché la riduzione generale dei prezzi è forzatamente minore di quella degli stipendi. Il limite lo si raggiunge in un'economia di schiavitù in cui il costo della manodopera è quasi zero, il potere d'acquisto dei lavoratori è nullo e il prezzo dei prodotti è il minimo permesso dagli altri punti qui sopra.
Il punto importante di tutto questo discorso è che finché permane il Pregiudizio del Risparmio ogni volta che un'azienda riduce il prezzo di un prodotto, tutte le altre aziende che commercializzano un prodotto analogo nella stessa zona si devono adeguare abbassando a loro volta i costi o si vedono costrette a chiudere. E la maggior parte delle volte questo viene fatto con modalità negative, soprattutto tagliando gli stipendi o licenziando.
Per uscire da questo circolo vizioso innescato dalla concorrenza sui prezzi, le persone dovrebbero accantonare l'idea di risparmiare a tutti i costi, ma la domanda che sorge spontanea è: ma se spendo di più per acquistare un prodotto locale, chi mi garantisce che l'imprenditore che lo produce non si metta semplicemente in tasca un profitto maggiore? Chi mi garantisce che quel prodotto sia veramente migliore della sua controparte più economica?
Ritorniamo al bosco.
Nel bosco tutti sanno da chi e come viene prodotto il cibo che consumano
Il bosco è a filiera corta. Le bacche che crescono sul rovo vengono consumate localmente e chi le consuma le vede spuntare e maturare.
Acquistando direttamente da un produttore locale piuttosto che da un'azienda lontana, possiamo verificare da vicino che la produzione avvenga nei termini che vorremmo, che i dipendenti dell'azienda siano agronomi ben pagati e non lavoratori in nero.
Però quando acquistiamo il nostro filone di pane nel forno sotto casa invece che al supermercato, possiamo dire di aver ridotto la filiera? Ovviamente no, perché se il fornaio compera la farina prodotta in Paesi esteri perché gli costa meno, non possiamo parlare di filiera corta. Vorremmo essere certi di come vengono investiti i soldi in più che diamo al fornaio. Questo è possibile farlo se il fornaio decide di rendere trasparente la propria filiera, cioè se ci dice esattamente da chi compera le materie prime, la farina, le uova, il latte, il sale, lo zucchero, etc. Nel caso di prodotti più complessi si può risalire al fornitore del fornitore e così via. Quando l'intera filiera diventa chiara e circoscritta, quando sappiamo esattamente che cosa c'è dentro la nostra ciambella, in che condizioni sono allevate le galline che producono le uova, da dove viene lo zucchero a velo e quanto percepiscono i dipendenti dell'azienda che lo produce, raggiungiamo il livello ideale del bosco.
Le aziende però potrebbero aver paura di diffondere informazioni riguardo alla loro filiera. L'obiezione principale è: se la grande distribuzione conoscesse il mulino dove compero la farina, potrebbe andare da loro, offrire un prezzo maggiore ed acquistarne l'intera produzione al solo scopo di mettermi in difficoltà. Questo oggi è verissimo, ma il punto è che man mano che un numero di persone diventano consapevoli dei vantaggi della Filiera Trasparente, al mulino non conviene assolutamente cominciare a vendere la sua farina alla multinazionale in nome di un profitto temporaneo maggiore, ma certamente di profitti futuri assai incerti.
L'etichettatura dei prodotti andrebbe grandemente migliorata: non ci limiteremmo più a trovare sull'etichetta del pane le diciture: farina, acqua, sale, ma sapremmo esattamente quale farina stiamo mangiando, coltivata dove e da chi, utilizzando quali fertilizzanti e metodi di coltivazione. Tutto ciò è possibile ottenerlo attraverso le moderne tecnologie informatiche.
Vediamo un altro aspetto del bosco.
La catena alimentare parte dal sole, prosegue nelle piante, seguono gli erbivori, i carnivori
Questo ci spiega quale sia il settore più importante in un'economia sana: il settore primario, poi il secondario e ultimo il terziario. Che cosa facciamo, macro-economicamente parlando, quando acquistiamo prodotti direttamente dall'azienda locale, allo stesso prezzo che lo pagheremmo al supermercato? Semplice, stiamo trasferendo risorse economiche dal settore terziario a quello primario. Laddove i supermercati investono il denaro che gli diamo in qualità percepita (packaging, abbellimento della frutta attraverso l'inceratura,etc. ), i produttori investono lo stesso denaro in qualità vera, reale dei prodotti, attraverso l'agricoltura biologica ad esempio. La differenza per i produttori che vendono direttamente al cliente finale è enorme: ipotizziamo un produttore che debba forzatamente vendere le proprie arance alla grande distribuzione a 18 centesimi al Kg e sia quindi costretto a produrre a 16 centesimi al Kg. Si può immaginare che a quel prezzo il produttore sia impossibilitato a garantire la qualità delle arance. uno stipendio equo a chi le raccoglie e una corretta salvaguardia del territorio. La grande distribuzione, invece, rivendendo al cliente finale le stesse arance a 90 centesimi al Kg. Ha ben 72 centesimi di margine da spendere in qualità percepita e da cui trarre il proprio profitto.
Qualora i 90 centesimi li dessimo direttamente al produttore, questi si ritroverebbe un guadagno di 74 centesimi invece che di 2, cioè ben 37 volte maggiore! Allora si che questi potrebbe investire parte di questo surplus per garantire una produzione migliore, pagare i propri dipendenti in modo equo, etc.
Si sente spesso raccontare in TV.
Le piccole aziende sono costrette a chiudere perché le banche negano il credito
Questo è palesemente falso, come abbiamo visto, non vi sono banche nel bosco, eppure tutti producono e prosperano. Depenniamolo, decisamente.
Le piccole aziende sono costrette a chiudere perché le banche negano il credito
E scriviamo come stanno veramente le cose.
Le piccole aziende sono costrette a chiudere perché non riescono a vendere al giusto prezzo
Un altro pregiudizio che depenniamo immediatamente.
Sono i politici che devono risolvere i problemi economici della Nazione
Errato. Ecco come stanno le cose.
E' l'intera popolazione che deve risolvere i problemi economici della Nazione
In che modo? Scegliendo di acquistare prodotti di qualità dai piccoli produttori locali, verificando la filiera, permettendo l'accesso a sistemi informatici che permettano la diffusione del modello della Filiera Trasparente.
All'inizio il potere d'acquisto sembrerà calare, ma in poco tempo l'economia locale si riprenderà, i lavoratori precari nei call center troveranno nuove opportunità molto più soddisfacenti nei settori produttivi. Risveglio generale, primo settore, secondo settore e dopo un certo declino anche il terzo settore rinascerà, ma più sano perché non basato sulla commercializzazione di prodotti di scarsa qualità, ma perché la popolazione più benestante comincerà a chiedere nuovi servizi che aumentino il benessere generale. Ed ecco attivata quella che possiamo chiamare Crescita Naturale, basata su una distribuzione orizzontale della ricchezza, anziché verticale.
Ma questo tipo di crescita economica è sostenibile su un Pianeta in cui le risorse sono finite, o ad un certo punto forzatamente cesserà? Torniamo al bosco.
Il bosco eternamente cresce e si rinnova senza mai consumare nulla
La crescita economica non deve necessariamente nascere dallo sfruttamento e dal consumo delle risorse, perché ovviamente non sarebbe sostenibile. Ma c'è un modo alternativo.
Si può crescere trovando modi sempre nuovi di utilizzare al meglio le risorse disponibili
Questo vale a partire dall'energia. L'intera energia che anima il bosco viene dalla luce solare, fonte immensa e praticamente inesauribile. Può rendere l'idea il confrontare la misera luce che riusciamo a produrre di notte nelle nostre città con la splendida luminosità diurna, di molti ordini di grandezza superiore. Questo confronto, da solo, ci indica il Sole come fonte energetica ancora grandemente da scoprire e utilizzare.
In tutto ciò entra in ballo la ricerca, il primo punto di cui abbiamo parlato poco sopra.
In un'economia di concorrenza le risorse destinabili alla ricerca sono scarse, ma nell'Economia Naturale abbiamo visto che le risorse economiche abbondano e ogni azienda potrebbe partecipare a finanziarla con parte del ricavato delle vendite e in alcuni casi potrebbero essere gli stessi produttori a fare ricerca nel loro ambito.
Per concludere quindi il modello che proporrei oggi è quello di una galassia di piccole / medie aziende, ognuna specializzata nelle proprie tipicità che nel loro complesso diano un'offerta di prodotti molto più ampia di quella attuale. Un ritorno alla produzione di qualità e bellezza, alle botteghe artigiane, alla scoperta e riscoperta di antichi e nuovi saperi.
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Mario Bruscella
Venerdì 01 Luglio 2016